Luisa Spagnoli

Oltre la Moda e il Cioccolato, una Donna Filantropa all’Orizzonte

Luisa Spagnoli, un nome che evoca immediate immagini di moda raffinata e golosità cioccolatose. Tuttavia, il suo retaggio va ben oltre le passerelle e le prelibatezze. Oggi, vogliamo svelare il lato meno conosciuto di questa straordinaria donna: la sua anima filantropa.

Per chi, come me, ha avuto la fortuna di vagare per la pittoresca collina di Santa Lucia in giovane età, non era affatto raro incrociare dei coniglietti d’angora fuggiti dai giardini di Luisa.
Dopo le devastazioni della Seconda Guerra Mondiale, Luisa Spagnoli si appassionò a questi adorabili animali, iniziando non solo a crearne una collezione, ma a intuire un segreto che avrebbe rivoluzionato il mondo della moda: l’arte di pettinare, piuttosto che tosare, questi conigli.
Un gesto gentile che permetteva di ottenere un filato dalla morbidezza senza precedenti, un tessuto che coccolava la pelle come nessun altro.

E che dire dei suoi deliziosi cioccolatini? Il Bacio Perugina è un nome conosciuto in tutto il mondo, ma c’è un’altra tavoletta che porta il suo nome, una creazione che alcuni perugini chiamano affettuosamente “Carrarmato“, forse come omaggio alla sua tenacia e alla sua forza d’animo.

E infine, non possiamo dimenticare il contributo di Luisa Spagnoli alla creazione della Città della Domenica, il primo parco a tema d’Italia, nato grazie all’ingegno di suo figlio Mario nel 1963. Decise di trasformare i terreni di sua proprietà sul monte Pulito, nel quartiere di Ferro di Cavallo a Perugia, in un parco per il tempo libero delle famiglie, una sorta di città ideale che doveva inizialmente prendere il nome di “Spagnolia“.
Di enormi dimensioni per l’epoca (oltre 43 ettari di terreno), il parco presenta, immersi nella fittissima vegetazione umbra, aree faunistiche e strutture tematiche fiabesche.

Luisa Spagnoli è stata molto di più di una semplice icona di moda e cioccolato. È stata una donna visionaria, una filantropa generosa e un’ispirazione per le generazioni future. La sua eredità va ben oltre i confini delle passerelle e dei cioccolatini, un esempio luminoso di come la passione, la dedizione e la gentilezza possano plasmare il mondo a beneficio di tutti.



Credit photo by:
Cittàdelladomenica.it
NestlèItalia.it
Ilverdemondo.it
Kongnews.it
IlDenaro.it

Federico da Montefeltro by bike

Federico da Montefeltro by bike

Gubbio-Urbino
Durata: MTB h 4,40 E-MTB h 3,36
Distanza: 61,7 km
Dislivello: 1.280+
Punti di interesse: Gubbio, Cantiano, Cagli, Fermignano, cascata del Metauro, Urbino.

Itinerario di 75 km che separano la città ducale dalla città natale di Federico da Montefeltro.
È un itinerario ricco di arte e cultura da un lato e di meravigliosi paesaggi naturali dall’altro, quello che collega Gubbio ad Urbino.
Il percorso si sviluppa in gran parte su strade panoramiche e a basso traffico, immerse nella ridente campagna umbro-marchigiana, toccando i luoghi in cui Federico da Montefeltro una delle figure più celebri
del rinascimento, ebbe una forte influenza.
Partenza da Gubbio città natale di Federico da Montefeltro.
A Gubbio andavano l’affetto di Federico e la massima intensità dei suoi sentimenti, come scrive nel 1446: «perché ve acertamo che lì è tucto el core nostro et tucta l’anima nostra».
È qui che fece costruire il suo palazzo quale seconda sede del ducato e seconda capitale ricca di vestigia preromane e classiche.

Si sale alla volta di Urbino, lungo la strada vecchia Contessa, attraversando gli antichi confini dello stato feltresco, Cantiano e Cagli dove il Duca fu Signore per nascita con titoli ottenuti dal padre tramite
investitura pontificia nel 1424 dc.
A Cagli Il Torrione è tutto ciò che rimane dell’antica fortezza, progettata da Francesco Di Giorgio Martini, che faceva parte di un piano di difesa voluto dal Duca Federico da Montefeltro.

Dismessa la sua funzione di difesa, il Torrione oggi non è solamente un bellissimo monumento storico, ma anche la sede del Centro di Scultura Contemporanea. Le sale ospitano opere di artisti di fama internazionale,
come Mattiacci, Kounellis, Nagasawa, Icaro e tantissimi altri. Le loro sculture poggiano su una scenografia inedita e originale, si armonizzano con pietra e mattoni, creando un effetto incredibilmente suggestivo.
Fermignano è una piccola cittadina di origine romana che sorge sulla sponda sinistra del fiume Metauro, con tutto attorno il panorama morbido e collinoso tipico del Montefeltro.

Dopo circa 60 Km l’arrivo ad Urbino la città dichiarata Patrimonio Unesco, culla del Rinascimento italiano e città di Raffaello. Urbino è la perla delle Marche conosciuta anche come la “città ideale” per via
dell’omonimo dipinto conservato presso il Palazzo Ducale una delle più belle opere del Rinascimento e cuore pulsante della città di Urbino a cui parteciparono alcuni fra i più grandi architetti, pittori, scultori e
maestranze chiamati da Federico da molte parti d’Italia e d’Europa.
Urbino è la rappresentazione perfetta di un classico borgo italiano: i vicoli che si incrociano, il profumo di buono a ogni angolo, il magnifico panorama che circonda la cittadina e poi… tanta arte!

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    Ex Ferrovia da Camporeggiano a Fossato di Vico

    Ex Ferrovia da Camporeggiano a Fossato di Vico

    Punti di interesse toccati

    Gubbio

    È nota come la “città di pietra” e sorge sul fianco del monte Ingino: Gubbio vi conquisterà a prima vista con il suo fascino medievale tutto da scoprire nel suo labirinto di vicoli e stradine.

    Le origini di Gubbio affondano le radici nell’antica civiltà umbra, come testimoniato dalle cosiddette Tavole Eugubine scritte in lingua umbra e risalenti al III-I secolo a.C. Potete ammirarle nelle sale del Museo Civico a Palazzo dei Consoli.

    Il periodo d’oro di Gubbio ha inizio intorno al Mille, all’epoca dei Comuni. Sotto la guida del vescovo Ubaldo, nel 1100, la città vinse una guerra contro Perugia. Nel frattempo si diffusero le arti e i mestieri, tra cui la lavorazione delle maioliche. Con il 1300 la città assunse la forma che ha ancora oggi. È a quell’epoca che risalgono alcuni dei palazzi più belli di Gubbio.

    Una passeggiata in centro
    Cominciate il giro dal gioiello di Gubbio, Piazza Grande o Piazza della Signoria, una piazza “pensile” che si affaccia sulla città. Ai suoi lati si trovano i palazzi pubblici della città: Palazzo dei Consoli in stile gotico e Palazzo Pretorio, uno di fronte all’altro. Date un’occhiata anche al Palazzo Ranghiasci Brancaleoni che si trova sulla stessa piazza.

    A due passi c’è il Palazzo Ducale in stile rinascimentale. Dai giardini di Palazzo Ducale si ha una bella vista sulla città. Fate attenzione alla porta alta e stretta a lato del grande portone: è la Porta del morto. Secondo la leggenda da qui passavano le bare dei defunti. Lungo le mura, che si trovano poco sopra il palazzo e risalgono al 1200, si aprono sei porte, alcune delle quali ancora decorate con pitture e stemmi cittadini.

    Tra le chiese non dovreste perdere la cattedrale dei Santi Mariano e Giacomo. Merita un salto anche la chiesa di San Francesco, edificata sui terreni dell’antica famiglia degli Spadalonga che lo avrebbe accolto dopo aver lasciato la casa di suo padre e tutti i suoi averi. Si trova ai piedi della città, dove nel Medioevo si teneva il mercato e c’è ancora la lunghissima Loggia dei Tiratori, costruita nel 1600 dalla corporazione dei tessitori. Qui tendevano i panni di lana appena tessuti.

    La vera meraviglia di Gubbio è tuttavia la Fontana dei Matti davanti al palazzo del Bargello. Tutti possono ottenere la patente da matto facendo tre giri intorno alla fontana e facendosi bagnare alla presenza di un abitante di Gubbio che lo certifichi.

    Dove spingersi nei dintorni
    Basta uscire dalle mura medievali di Gubbio e si dischiude un altro mondo di sorprese da scoprire: il teatro romano, il mausoleo romano poco distante, l’abbazia di San Secondo, la secentesca Madonna del Prato ricca di stucchi e la chiesa della Vittorina costruita proprio dove, secondo la leggenda, San Francesco incontrò il lupo.

    La Gola del Bottaccione

    Nei dintorni di Gubbio si trovano le gole del Bottaccione, ideali per una gita poco fuori città. È una profonda gola dovuta all’erosione del torrente Carmignano, ma è anche ricchissima di testimonianze storiche. Qui si trova un acquedotto che corre lungo la gola e risale al Medioevo.

    Nella gola si trova anche il Monastero di Sant’Ambrogio, che sorge nei pressi di una cittadella preistorica risalente al paleolitico. L’eremo è del 1300 ed era noto per le sue regole severe oltre che per la posizione inaccessibile che garantiva silenzio e solitudine. Non perdete la visita, a cominciare dalle grotte sotterranee per finire con gli affreschi della chiesa

    In cima al monte Ingino: la Basilica di Sant’Ubaldo

    La Basilica di Sant’Ubaldo si trova proprio in vetta al monte che veglia su Gubbio, ma niente paura, se non ve la sentite di scarpinare potete raggiungerla con una comoda funivia e avrete tutta la città ai vostri piedi. Qui si custodisce l’urna con il corpo di Sant’Ubaldo, patrono di Gubbio. E vi arriva anche la famosa corsa della Festa dei Ceri del 15 Maggio.

    La chiesa è di origini medievali, ma nel corso del 1500 fu ampliata con l’aggiunta del convento e del chiostro. Non fatevi ingannare dalla semplicità dell’esterno, entrate per ammirare la ricchezza delle cinque navate e le vetrate istoriate che raccontano la vita di Sant’Ubaldo.

    Castello di Colmollaro

    II Castello di Colmollaro si trova sopra un rialzo del terreno, in parte circondato da un fitto bosco, lungo la strada per Galvana e Serra Brumonti nel settore sud-orientate del territorio eugubino. Pur rappresentando l’ultimo baluardo difensivo della conca eugubina in quest’area, viene ricordato soprattutto perché feudo dei Raffaelli, una nobile famiglia, eugubina di orientamento ghibellino di Cui un rappresentante, Bosone Novello strinse amicizia con Dante Alighieri presso Arezzo dove si era rifugiato dopo la cacciata dei ghibellini da Gubbio.
    La tradizione riporta la notizia che il sommo poeta esule della patria, trovò rifugio presso l’amico Bosone che, una volta ritornato a Gubbio, si stabilì in questo castello dove Dante, suo ospite, scrisse una parte della Divina Commedia. 

    Ex stazione di Branca

    La stazione fu inaugurata il 5 aprile 1886, e rimase attiva fino al 22 maggio 1945, quando la ferrovia, distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, cessò definitivamente l’esercizio.
    A Branca si attestò l’ultimo convoglio che percorse la linea: si trattava di un treno viaggiatori che fu mitragliato dai tedeschi poco prima della stazione, per poi essere trainato da un trattore nel piazzale della stazione stessa. Sono stati mantenuti, e resi ben visibili, i 12 fori provocati dai proiettili sulla facciata lato binari del fabbricato viaggiatori.

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      Dalla pietra al mare

      Dalla pietra al mare

      Cuore pulsante della città e protagonista di qualsiasi visita è la scenografica e panoramica piazza Grande, straordinario esempio di “piazza sospesa”, sostenuta dagli archi che si possono ammirare nella parte bassa di Gubbio, dalla quale si gode uno splendido panorama sulla valle.

      La piazza ospita Palazzo dei Consoli, simbolo della città, realizzato in stile gotico a testimoniare l’importanza di Gubbio in epoca medievale. All’interno di palazzo dei Consoli c’è il museo civico di Gubbio, con il “campanone” e le sette “Tavole Eugubine”, il più importante documento per la storia dei popoli italici, datate fra il III e il II secolo a.C. Il palazzo dei Consoli ha inoltre un curioso primato storico: è il primo palazzo italiano ad avere avuto l’acqua corrente, tubature e servizi igienici.

      Nella parte bassa dell’abitato si sviluppa piazza Quaranta Martiri, nel Medioevo area di mercato. Sul lato sud si trova la chiesa di San Francesco, alla quale è legato l’episodio di San Francesco e il lupo. Secondo il racconto, arrivato a Gubbio, San Francesco trovò la città deserta perché gli abitanti avevano paura di un feroce lupo. San Francesco si addentrò nella foresta e strinse un patto con l’animale che prevedeva che il lupo non aggredisse più gli uomini, che lo avrebbero invece sfamato e curato. La pietra su cui fu siglato il patto e la pietra della tomba in cui il lupo fu poi seppellito sono ancora visibili in questa chiesa. Nella parte più alta della città, invece, a 908 metri sul livello del mare, sul monte Ingino, si può ammirare la basilica di Sant’Ubaldo che ospita le spoglie del santo e i famosi ceri. Vale la pena salire a piedi o con la funivia. La piccola avventura in funivia è consigliata: si sale per circa 500 metri sospesi nel vuoto in una piccola “gabbia” in cui entrano al massimo 2 persone, con vista panoramica mozzafiato sui tetti di Gubbio e sulla campagna circostante.

      Il comune di Scheggia e Pascelupo è un territorio montuoso di circa 64 km², che occupa la porzione nord-orientale dell’Umbria, al confine con le Marche, ed è l’unico comune umbro situato interamente nel versante adriatico della catena appenninica. Immerso nel cuore dell’Appennino umbro-marchigiano, occupa una vasta zona del parco del Monte Cucco. Boschi, pareti rocciose, forre, sorgenti di acqua limpida sono frequenti.
      La zona, oltre a una notevole varietà di piante come il faggio, il leccio, la roverella, ospita anche specie animali rischio di estinzione, come il lupo appenninico, l’aquila reale e la lontra. Nei pressi si trovano il monte Catria (1701 m), il monte Cucco (1566 m), il monte Motette (1331 m), il monte Le Gronde (1373 m), la forra di Rio Freddo e la Valle delle Prigioni.

      Il fiume Sentino, con il suo corso lungo la valle omonima, attraversa il territorio del comune, ma numerosi altri sono i corsi d’acqua, tra i quali spiccano per importanza di portata il Rio Freddo (proveniente dal massiccio del Monte Cucco), il Fiume Artino e il Fosso della Gorga (che
      provengono dal gruppo del Monte Catria), il Fosso della Pezza (dal Monte Tino), il Fosso di Campitello o Bulgarello, e il fosso Sanbucara (provenienti dal Monte Motette) e il Fosso la Foce (dal monte Orneti).
      Numerose in tutto il territorio montuoso circostante sono anche le sorgenti e le fonti di acqua fresca tra le quali fonte Fontanelle (783 m), fonte S. Giglio, fonte le Campora e fonte Peschi lungo le pendici del Monte Motette, fonte Lorno (877 m), fonte Bregna (830 m) lungo il Monte Foria e fonte Tino sulle spianate del Monte Forcello.
      La montagna di Scheggia è il monte Calvario (949 slm) sul quale è situato il santuario di monte Calvario. Il suo nome deriva dal latino calles oviariae ossia “sentieri delle pecore”, infatti il monte è
      la via d’accesso per i pascoli del monte Cucco. Le sue origini risalgono alla fine del primo millennio d.C. e sono strettamente legate alla storia della congregazione dei Camaldolesi. L’eremo fu forse fondato da san Romualdo nel 980. Notevole impulso diede all’abbazia l’opera di san Pier Damiani, che qui divenne monaco nel 1035 e Priore dal 1043, non solo per l’ampliamento delle costruzioni originarie ma anche per un
      forte sviluppo culturale e spirituale che fece dell’eremo un punto riferimento religioso e sociale.

      La tradizione riporta il numero di 76 santi e beati vissuti nell’eremo. L’Eremo viene citato nella Divina Commedia (Paradiso, canto XXI) da Dante Alighieri, il quale sembra che ne sia stato anche ospite. Il piazzale antistante la basilica; sulla sinistra l’entrata al chiostro e sulla destra lo scriptorium Eretta abbazia nel 1325, Fonte Avellana divenne una potenza socio-economica e, di lì a poco (anno 1392), conobbe la pratica della commenda (XIV – XV secolo). Nel 1569 ad opera di papa Pio V Ghilslieri fu soppressa la congregazione autonoma avellanita che aveva sino ad allora retto il monastero, passando alla congregazione camaldolese. Nemmeno quarant’anni dopo, nel 1610, passò alla congregazione cenobitica camaldolese di San Michele di Murano, per poi ritornare agli inizi del novecento alla congregazione camaldolese. Fonte Avellana restò “commendata” fino a quasi tutto il 1700, ed anche se ebbe commendatari come il cardinale Giuliano della Rovere (poi Giulio II), che lasciarono segni di carattere edilizio ed abbellimenti del tutto degni di nota, nondimeno risentì profondamente degli inevitabili condizionamenti, motivo per cui la decadenza della sua vita monastica fu inesorabile, anche se lenta.
      Tale declino si concluse con la soppressione napoleonica del 1810 e di lí a poco quella italiana del 1866. Tornata sotto la gestione dei monaci camaldolesi nel 1935, oggi Fonte Avellana ha ritrovato il suo antico splendore, sia spirituale sia architettonico.

      Il coro della Basilica del Monastero di Fonte Avellana Il 5 settembre 1982 papa Giovanni Paolo II ha visitato Fonte Avellana in occasione delle celebrazioni del millenario della fondazione dell’Eremo. Nel marzo dello stesso anno il Papa aveva elevato la chiesa abbaziale alla dignità di basilica minore. Dal 2007 anche il Giardino Botanico del monastero, da sempre riservato ai monaci, è aperto al pubblico.

      Il territorio del Comune di Frontone è stato abitato fin dai tempi più remoti; la prima popolazione che creò un insediamento stabile fu sicuramente quella degli Umbri e più tardi giunsero prima i Celti e poi i Romani, quindi la zona venne conquistata dai Longobardi ai quali si sostituirono poi i Franchi. I primi documenti scritti che parlano del castello e della comunità civile di Frontone risalgono all’undicesimo secolo, e la sua storia, fino alla fine del quattordicesimo secolo, fu legata indissolubilmente a quella di Cagli, a cui appartenne come feudo. Divenne poi possedimento eugubino sotto la signoria dei Gabrielli fino al 1420 e passò quindi al Ducato di Urbino, salvo una brevissima dominazione Malatestiana. Nel 1530 il castello ed il territorio di Frontone divennero contea del Ducato di Urbino, dono di Francesco Maria I Della Rovere al nobile modenese Gianmaria Della Porta e tali rimasero fino all’abolizione delle giurisdizioni feudali per effetto dell’annessione al Regno d’Italia napoleonico (1808), abolizione poi rinnovata da Papa Pio VII (1816) .

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        Itinerario rinascimentale tra Umbria e Marche sulle orme dei Montefeltro

        Itinerario rinascimentale tra Umbria e Marche sulle orme dei Montefeltro

        Questo itinerario ci porterà attraverso alcune delle più affascinanti città dell’Umbria e delle Marche, seguendo le tracce dei Montefeltro e del Rinascimento. Ogni tappa offre un’opportunità unica per immergersi nella storia, nell’arte e nella cultura di una delle epoche più affascinanti d’Italia.

        La prima tappa del nostro percorso è <span style=”color: #aaba51;”><strong>GUBBIO</strong></span>, una delle città più antiche dell’Umbria. In piazza Grande svetta il Palazzo dei Consoli, un esempio straordinario di architettura gotica che ospita il Museo Civico. Sarà possibile ammirare la collezione di arte e manufatti storici, tra cui le Tavole Eugubine. Non distante il Palazzo Ducale, esempio unico di architettura rinascimentale, voluto da Federico da Montefeltro attorno al 1476 come residenza per la famiglia, sull’illustre esempio di quello urbinate. L’interno conserva alcuni arredi originari e una straordinaria replica dello studiolo di Federico, rivestito di pannelli in legno intarsiati su disegni di Francesco di Giorgio. Da non perdere una passeggiata lungo le strade medievali di Gubbio, respirando l’atmosfera unica di questa città, o la risalita con la funivia sul Colle Eletto per ammirare un panorama mozzafiato e visitare la Basilica di Sant’Ubaldo.

        Il percorso prosegue verso <span style=”color: #aaba51;”><strong>URBINO</strong></span>, città natale di Raffaello Sanzio e culla del Rinascimento italiano. Poggiata sulle colline della Valle del Metauro, la città appare da lontano con il suo Palazzo Ducale, costruito dal Duca Federico da Montefeltro, è un capolavoro rinascimentale. All’interno, custodisce la Galleria Nazionale delle Marche, che ospita opere di Piero della Francesca, Tiziano e, naturalmente, Raffaello. Lo studiolo del duca Federico, all’interno del Palazzo, custodisce un pregevole soffitto a cassettoni ed è rivestito nella fascia inferiore di legni intarsiati da Baccio Pontelli su disegni di Sandro Botticelli, Francesco di Giorgio Martini e Donato Bramante.

        Dirigendoci verso la costa, una sosta è d’obbligo a <span style=”color: #aaba51;”><strong>GRADARA</strong></span>. Borgo di confine a pochi passi dalla Romagna, immerso nelle colline ma vicino al mare, è uno spazio fermo in un altro tempo. Il borgo da sempre si identifica con la sua Rocca che per secoli ha difeso dinastie nobili e famose quali i Malatesta, gli Sforza e i Borgia. Citata anche da Dante nella Divina Commedia per l’amore tragico di Paolo e Francesca.

        L’itinerario si conclude a <span style=”color: #aaba51;”><strong>PESARO</strong></span>, sulla costa adriatica. Capitale Italiana per la Cultura nel 2024, città creativa UNESCO per la musica e città della bicicletta. Tra i luoghi da visitare in città sicuramente vi è il Palazzo Ducale, una splendida residenza rinascimentale costruita dai Duchi di Urbino, che si erge maestoso sulla piazza. Città natale di Gioacchino Rossini tante sono i luoghi che ricordano l’illustre personaggio come la sua casa o il Teatro a lui intitolato. Non si può perdere la Villa Imperiale, situata sulle colline che sovrastano Pesaro. Questa residenza rinascimentale, immersa in un parco rigoglioso, è una delle più belle d’Italia.

        La città vanta una lunga spiaggia di sabbia dorata, perfetta per rilassarsi sotto il sole. Il lungomare è costeggiato da palme e offre una splendida vista sul Mare Adriatico. Suggeriamo di fare una passeggiata, noleggiare una bicicletta o semplicemente godersi il mare e il sole.

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          Tour delle Abbazie tra Umbria e Marche: un itinerario nei luoghi del silenzio e della preghiera

          Tour delle Abbazie tra Umbria e Marche: un itinerario nei luoghi del silenzio e della preghiera

          Questo territorio è da sempre una terra di mezzo, estremamente importante dal punto di vista storico e culturale perché crocevia di popoli e tradizioni, a legare – nel passare del tempo – le varie culture è stata la religione, che ha, attraverso chiese, conventi, abbazie, eremi, formato ed influenzato diverse generazioni.

          Partendo dal territorio delle Marche la prima tappa del nostro itinerario è la chiesa di Sant’Ansovino di Avacelli che si trova nel territorio di ARCEVIA, lungo la strada che porta a Serra San Quirico. Costruita intorno all’XI sec., è una delle chiese che probabilmente appartenne all’Ordine dei Templari, intorno ad essa molte sono le leggende legate al fascino e ai tanti segreti che i Cavalieri celavano, una di queste parla di un antico tesoro nascosto proprio nei dintorni della chiesa. Curiosa la storia di un custode che nel ‘600, cercando quest’antica ricchezza spaccò a metà la croce astile con le sei sfere – simbolo dei Cavalieri Templari – che si trova sulla facciata, a quanto pare non vi trovò oro ma una pigna di terracotta.

          La seconda tappa del tour porta all’Abbazia di San Vittore delle Chiuse, nel territorio di GENGA, uno degli edifici in stile romanico più belli e importanti delle Marche. La chiesa, costruita nella terra di nascita di San Benedetto a cui originariamente sarebbe stata intitolata, venne edificata dai Longobardi verso la fine del 900. Molto del fascino di questo grande edificio è dovuto alla sua splendida e scenografica posizione, nella GOLA DI FRASASSI dove le montagne creano una sorta di suggestivo anfiteatro. Sobria e imponente ha una struttura in grossi blocchi di pietra bianchi, la mancanza di decorazioni – in perfetto accordo con i canoni artistici dell’epoca e con i dettami della fede – regala al visitatore un’atmosfera di purezza ed essenzialità. Un particolare misterioso ha da sempre attirato l’attenzione di studiosi e curiosi che si sono chiesti il significato del simbolo dell’Infinito rovesciato che si trova vicino alla porta sinistra dell’altare.

          Altro esempio importante del romanico marchigiano è rappresentato dalla vicina Abbazia di Santa Croce a SASSOFERRATO, nel territorio di Fabriano, che si trova su di una piccola collina circondata da un’affascinante natura impervia. Particolare e affascinante la sua costruzione, all’interno delle mura di una chiesa già esistente edificata con ogni probabilità dai Cavalieri templari di cui si riconoscono diversi simboli scolpiti su colonne e capitelli. I misteri templari non sono i soli a incuriosire, nel piano superiore infatti si notano delle simbologie che rievocano il dio Mytra divinità pagana alla quale era probabilmente dedicato l’antico tempio originale.

          Meta della quarta tappa è l’Abbazia di Sant’Emiliano in CONGIUNTOLI, che, dedicata al martire di Numidia, Emiliano, si trova sulla congiunzione – da qui il nome in Congiuntoli – di due corsi d’acqua l’Esino e il Rio Freddo. Sebbene si trovi in provincia di Perugia, l’antica costruzione in stile romanico-gotico fa territorialmente parte – storicamente e artisticamente – di questa straordinaria zona di confine della Marca di Ancona. Si tratta di una monumentale abbazia benedettina dall’aspetto severo e imponente che comprende il cenobio e la chiesa e che con molta probabilità appartenne all’Ordine templare che, proprio sul Rio Freddo, aveva una sede accertata storicamente. La perdita dell’archivio del monastero non consente datazioni o informazioni precise, certo è che fu molto importante e possedette diverse proprietà vendute nel 1860 quando il regio commissario dell’Umbria soppresse il monastero.

          Prima di lasciare le Marche e dirigerci verso l’Umbria, si farà tappa presso il maestoso Monastero o eremo della Santa Croce di FONTE AVELLANA, nei pressi di Serra Sant’Abbondio. Costruito alle pendici del Monte Catria intorno all’Anno Mille come luogo di ritiro spirituale per i monaci che volevano un contatto puro con Dio, immergendosi nel silenzio della natura, è tutt’oggi un’oasi di pace dove la natura abbraccia e protegge la struttura e dove molti si recano per pregare e meditare. Prezioso lo scriptorium San Pier Damiani, l’unico nelle Marche a non essere mai stato restaurato e quindi completamente originale, dove i monaci amanuensi studiavano e copiavano gli antichi testi.

          Rientrando in Umbria, nei pressi DI SCHEGGIA E PASCELUPO, si trova l’Abbazia di Santa Maria di Sitria, situata alle falde del monte Nocria (867 metri), nella stretta valle del fosso Artino, all’interno del Parco del Monte Cucco. L’eremo fu costruito da san Romualdo nel 1014 mentre tra il 1018 e il 1021 lo stesso vi fondò il monastero. La chiesa di Sitria è composta da un’unica navata separata, alla maniera benedettina, dal presbiterio tramite una scala in pietra di 8 gradini. È di linee romanico-gotiche, presenta una copertura con volta ogivale in pietra e un altare abbellito da archetti a tre lobi, sorretti da 13 colonnine, delle quali la maggior parte furono rubate negli anni sessanta e ricostruite. Nel catino dell’abside si trova un affresco risalente al XVIII secolo, raffigurante la Crocifissione, di autore ignoto. La cripta sottostante, alla quale si accede per un ingresso al centro della scalinata, è molto elegante e presenta una volta sorretta da una colonna di granito con capitello, quasi sicuramente proveniente da una costruzione di epoca romana. Nel sotterraneo della chiesa, è indicata la cosiddetta prigione di san Romualdo, l’angusta cella in cui il Santo fu rinchiuso per sei mesi dai suoi monaci.

          L’ultima tappa del nostro itinerario che si chiude in Umbria, è nei pressi di UMBERTIDE, l’Abbazia di Montecorona è un imponente complesso benedettino fondato nel XII secolo. Immersa in un fitto bosco, l’abbazia è famosa per la sua cripta romanica, un ambiente suggestivo e ricco di mistero. La visita offre l’opportunità di immergersi nella storia medievale e di apprezzare l’arte sacra in un contesto naturale di rara bellezza.

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            Cosa fare in Umbria in Novembre? Te lo dice UmbriaSì

            Novembre in Umbria: Il Mese del Gusto! I nostri suggerimenti per una Vacanza Autunnale

            Novembre è il mese perfetto per visitare l’Umbria se sei un amante della buona cucina, della natura e delle tradizioni autentiche. Conosciuta come il cuore verde d’Italia, la regione in autunno si trasforma in un paradiso per i sensi, soprattutto per gli appassionati di gastronomia. Novembre è, infatti, il Mese del Gusto in Umbria, un periodo in cui sapori intensi, prodotti pregiati e tradizioni locali si fondono in un’esperienza indimenticabile.

            Ecco le nostre tre tips su cosa fare in Umbria in Novembre

            Frantoi Aperti: Scopri il segreto dell’olio extravergine d’oliva

            Novembre in Umbria è sinonimo di Frantoi Aperti, l’evento dedicato all’olio extravergine di oliva appena spremuto. Durante tutto il mese, puoi visitare i frantoi tradizionali, assistere al processo di estrazione dell’olio e assaporarlo fresco su una fetta di pane abbrustolito, la classica bruschetta.

            I borghi come Trevi, Spello e Bevagna organizzano degustazioni, visite guidate e attività legate a questa antica tradizione. Questo è il momento ideale per scoprire uno dei prodotti più apprezzati della regione e conoscere da vicino le tecniche di lavorazione tramandate di generazione in generazione. In più, l’olio extravergine umbro è un regalo perfetto da portare a casa, un sapore autentico che racchiude l’essenza della terra umbra.

            Borghi Medievali e Atmosfera Autunnale: Tranquillità e Tradizione

            Novembre è il mese in cui i borghi medievali umbri mostrano il loro lato più intimo e affascinante. Con meno turisti e un’atmosfera rilassata, puoi esplorare luoghi come Gubbio, Spoleto e Montefalco godendo della loro bellezza in tutta tranquillità.

            Camminare tra i vicoli acciottolati di questi borghi in autunno è un’esperienza speciale: i colori caldi delle foglie, le luci soffuse e l’aria fresca creano un’atmosfera unica. Questo è il periodo perfetto per rallentare e immergersi nella cultura locale, visitare antiche chiese, scoprire botteghe di artigiani e fermarsi in un’osteria a gustare piatti tipici della stagione.

            Inoltre, molte località iniziano a prepararsi per il Natale con mercatini e piccoli eventi che arricchiscono l’esperienza autunnale, offrendoti un assaggio dell’Umbria più autentica e accogliente.

            Tartufi e Vino Novello: Prelibatezze d’Autunno

            Novembre è il mese dei sapori autentici in Umbria, in particolare del tartufo bianco e del vino novello. La regione è famosa per i suoi tartufi, e in questo periodo si celebrano numerose sagre e mostre dedicate a questo prezioso fungo. Allo stesso tempo, novembre è anche il mese del vino novello, un vino giovane e fruttato che si sposa perfettamente con i piatti tipici della stagione. Le cantine umbre aprono le loro porte per offrirti degustazioni e momenti conviviali, dove potrai scoprire i segreti della produzione vinicola e brindare ai sapori dell’autunno.

            💚 Ti Aspettiamo in Umbria 💚

            Un focus su Dante e l’Olio umbro

            Dedichiamo uno spazio a Dante e all’Olio umbro attraverso il libro “Conversazioni dantesche. Olio dell’Umbria: cosa resta del Medioevo dantesco nell’Umbria enogastronomica” scritto e curato da Diego Diomedi, formatore e docente nel settore enogastronomico ed altri scrittori e giornalisti che hanno partecipato alla stesura del testo.

            In particolare l’autore, Diego Diomedi, sottolinea come il suo interesse e la sua passione per l’enogastronomia nascano da una profonda curiosità sulle origini e le tradizioni agroalimentari italiane, con particolare riferimento al Medioevo e soprattutto all’approccio Dantesco alla cucina italiana con un focus sull’olivo e sull’olio umbro. 

            il libro nasce dall’esigenza, a partire dalla rievocazione storica di San Gemini, di dedicare questa grande festa che dura 2 settimane al Sommo Poeta. Nel testo vengono trattate diverse tematiche”- ci racconta Diego

            DANTE E L’ULIVO
            L’olio e dunque l’olivo è profondamente radicato nella nostra tradizione e nella nostra cultura.Trova origini nell’età classica e utilizzi già in epoca romana e poi medievale. All’interno della Divina Commedia i riferimenti al cibo o tutto ciò che riguarda l’alimentazione viene trattato non dal punto di vista materiale e dunque nutritivo ma puramente spirituale e religioso.
            Durante la scrittura della Divina Commedia Dante Alighieri dà molta importanza alla pianta dell’olivo citandola ben due volte come elemento ricco di simbolismo religioso: la stessa Beatrice si presenta a Dante con la corona di ulivo: «sovra candido vel cinta d’ulivo/donna m’appar- ve sotto verde manto» (vv. 31-32, XXX canto del Purgatorio)

            Il fil rouge di questo libro è quello di parlare di Dante attraverso l’enogastronomia immersa nel centro Italia con il collegamento all’ Umbria che fa da ponte, come un flusso di pensiero, di radici e tradizioni.

            NEL DOPOGUERRA
            “L’olio è radicato nella nostra cultura ma è anche un prodotto riservato a pochi fino alla seconda guerra mondiale. Borghese, infatti, l’invenzione di possedere un uliveto in quanto alla classe povera era riservato lo strutto e il burro. È solo nel secondo dopoguerra che il consumo di olio conosce modificazioni. Questa impennata dei consumi per l’Umbria non significò una trasformazione repentina dei caratteri del mercato. Tuttavia il prodotto comincia ad avere spazi più ampi favoriti anche dalle maggiori produzioni realizzate nei decenni precedenti.”- spiega il Prof. Renato Covino, aggiungendo poi che “la natura pedologica dei terreni collinari umbri, spesso fliscioidi (ad alto contenuto di calcare) porta alla diffusione fino a tempi recenti del Moraiolo, che produce pochi chili per pianta e quindi meno olio, e a una collocazione geografica soprattutto intorno al bacino del Trasimeno, che garantiva un effetto di temperazione del clima, e lungo le colline che cingono la Valle Umbra (da Assisi a Spoleto). La presenza nelle colture promiscue, dove affianca o sostituisce la vite e convive con i cereali, ne fa una produzione destinata a un uso sostanzialmente domestico, che diviene parte dell’economia di sussistenza dei mezzadri e di e di consumo dei padroni della terra”.

            L’UMBRIA CUORE VERDE D’ITALIA
            Ivo Picchiarelli sottolinea come “nella percezione dell’immaginario dell’Umbria è balzato di recente in evidenza il grigio-verde degli ulivi, in particolare quello della fascia olivata pedemontana che, ininterrotto, da Assisi a Spoleto si affaccia sulla Valle Spoletana. A ciò hanno contribuito vari fattori. Anche la Regione della verde Umbria sembra aver eletto questo colore a proprio emblema”.

            L’OLIO E MODERNITA’
            Alessandro Giotti parla del rapporto tra modernità, tradizione e innovazione anche nel campo dell’olivicoltura e di come l’avanzare della tecnologia abbia effettivamente cambiato anche i metodi di produzione di “oliveti storici e varietà antiche” e la concetto di olio in termini di consumo e utilizzo in ambito culinario e non solo, e in particolare spiega che “oggigiorno la tecnologia consente di avere frantoi a due fasi tecnologicamente molto avanzati e di piccole omedie dimensioni in grado di produrre altissima qualità. Si stanno diffondendo pertanto molti frantoi che nascono spesso nel cuore del luogo di produzione delle olive rendendo il processo di trasformazione molto efficiente e veloce. Questi frantoi, avendo dimensioni più ridotte, consentono inoltre di gestire anche partite più piccole facilitando, per esempio, lavorazioni di precisione, essenziali per la produzione dei monovarietali. Questi ultimi cominciano a diventare sempre più diffusi consentono di offrire a chi è o sarà in grado di apprezzare l’incredibile biodiversità che possediamo.Basti pensare nella nostra Umbria alla Nostrale di Rigali, alla Borgiona, alla Dolce Agogia al Raio, per non parlare poi del principe di tutte le cultivar umbre e toscane, il Moraiolo.
            La volontà è di dare nuova vita a luoghi incantevoli dell’Umbria valorizzando territorio e qualità produttiva e diventando vera meta per chi è alla ricerca di esperienze e prodotti di qualità”.

            Cosa fare in Umbria in Ottobre? Te lo dice UmbriaSì

            Ottobre in Umbria: Quando la magia autunnale abbraccia il cuore verde d’Italia!

            Cari amanti delle avventure autunnali e degli scenari mozzafiato, preparatevi a essere incantati! L’Umbria, quella piccola gemma nascosta nel cuore verde d’Italia, si trasforma in un vero e proprio spettacolo naturale durante il mese di ottobre. Le foglie dorate e rosse dipingono il paesaggio. È il momento perfetto per esplorare questa regione incantevole.

            Ecco le nostre tre tips su cosa fare in Umbria in Ottobre

            Atmosfera autunnale unica

            I borghi medievali umbri si tingono di calde sfumature autunnali, creando un’atmosfera magica perfetta per passeggiate e relax.

            Paesaggi perfetti per il trekking

            I sentieri umbri diventano ideali per escursioni autunnali, con il foliage che dipinge la natura di rosso, arancione e giallo, magari assaporando ciò che di meglio questa terra può offrire

            Assaggia l’autunno in Umbria

            Ad ottobre troverai tanti eventi dedicati a prodotti tipici come il tartufo, l’olio nuovo, il vino novello e le castagne, dove potrai assaporare le eccellenze locali direttamente dai produttori.

            💚 Ti Aspettiamo in Umbria 💚

            Lezioni di Cioccolato: quando il cioccolato incontra il vino

            Perugia e Perugina

            Dalla lungimiranza, dalla sagacia, dalla visione e dalle idee rivoluzionarie e moderne di Luisa Spagnoli nacque la Perugina nel 1907 da un piccolo laboratorio nel Centro di Perugia rilevando insieme al marito Annibale Spagnoli una drogheria e dando l’inizio ad una nuova idea di intendere e trasformare il cacao e il cioccolato: a Perugia, ricca di piccole botteghe, si diffusero attività industriali che ampliarono il mercato del cioccolato e soprattutto la fama di Perugia. 

            La celebre creazione a base di granella di nocciola, gianduia e copertura di cioccolata fondente, grande intuizione di Luisa Spagnoli oltre un secolo fa e ancora oggi cavallo di battaglia di Casa Perugina, in origine aveva la forma e il nome di un pugno o meglio di un “cazzotto”. Un nome che fu poi cambiato da Giovanni Buitoni nel 1924 nel famoso Bacio Perugina”.

            Le origini

            La coltivazione, la diffusione, la commercializzazione e di conseguenza l’uso caleidoscopico del cioccolato o del cacao è relativamente recente.

            Siamo tra il XVI e il V secolo a.C, nella penisola dello Yucatan, quando le scimmie cominciarono a nutrirsi del frutto del cacao, la cabossa, mangiando la polpa e gettando via i semini (quelli che oggi sono conosciute come fave di cacao) e contribuendo alla diffusione delle piante di cacao. Ed è proprio imitando le scimmie che i Maya si avvicinarono al “frutto degli dei” a partire dal V secolo a.C e diffondendo la coltivazione.

            Si narra che tutta la popolazione masomaericana considerasse il cacao un dono divino: legato pertanto a celebrazioni importanti e riti sacri. Cionondimeno, i Maya ne avevano carpito le proprietà nutritive e le potenzialità racchiuse nel frutto: si credeva, infatti, che il cacao fosse un ricostituente sessuale e pertanto veniva donato alla sposa durante il rituale del matrimonio.
            Frutto divino, pietanza per i rituali e ancora moneta di scambio, il cacao diviene per la popolazione Maya parte integrante della quotidianità.

            La lavorazione moderna del cacao per ottenere il cioccolato è in realtà risalente ai Maya, con piccole modifiche, tagli diversi, tecniche nuove ma in sostanza sono stati i Maya ad insegnarci come trasformare dei semi avvolti da un sostanza bianca e filamentosa nel cioccolato moderno: il frutto (la cabossa) veniva aperta lasciando a fermentare i semi (le fave) al sole; dopo seguiva la tostatura e la macinatura con un matterello che rompeva la fava facendo fuoriuscire il burro di cacao (la parte grassa del frutto) alle quali venivano aggiunti aromi e farina di mais dando origine alla massa di cacao. Venivano poi conservati per essiccazione in panetti e consumati con l’aggiunta di acqua calda, filtrata e bevuta fredda come bevanda di fine pasto e chiamata dagli Aztechi “tciocoatl”, mentre la pianta di cacao “cacahuatl”.

            Ogni volta dico a me stesso che è l’ultima volta, ma poi sento il profumo della sua cioccolata calda… Le conchiglie di cioccolato! Così piccole, così semplici, così innocenti. Pensai: oh, solo un piccolo assaggio non può far niente di male! Ma poi scoprii che erano ripiene di ricco, peccaminoso…” “…E si scioglie… Dio mi perdoni, si scioglie così lentamente sulla lingua e ti riempie di piacere!…”- dal film Chocolat

            ChocoPills: cioccolato e filosofia
            “Il cioccolato era particolarmente apprezzato dagli illuministi. Voltaire ne consumava numerose tazze al giorno, trovando il cioccolato molto utile alla speculazione filosofica: a differenza dell’alcol che annebbiava le capacità cognitive, il cioccolato le sollecita”- Luca Fiorucci, giornalista

            Ma noi non ascoltiamo Voltaire e consigliamo il cioccolato con il vino!

            Con il cioccolato abbiamo sensazioni organolettiche come la succulenza (salivazione all’assaggio), la tendenza amarognola (legata alla % di cacao del cioccolato che ricordiamo avere i tannini come il vino), la grassezza (legata al burro di cacao e al latte), la struttura, l’aromaticità, l’intensità, la dolcezza e la persistenza. A seconda delle proprietà organolettiche del cioccolato, potremo abbinare il vino che meglio si sposa e si abbina. Per la succulenza, per esempio, cercheremo un vino con alcol e tannini. Per la tendenza amarognola, alcol e morbidezza. Per la grassezza un vino sapido.

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