La Domenica della Contessa – 24 novembre 2024

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    Umbria: novembre mese del gusto

    Umbria: novembre nel mese del Gusto

    L’Umbria, nota come il “cuore verde dell’Italia,” è una regione che incanta i visitatori con la sua bellezza naturale, il suo ricco patrimonio culturale e, naturalmente, la sua lunghissima e buonissima tradizione enogastronomica. Novembre è il mese del gusto dedicato alle eccellenze umbre come il tartufo, l’olio, il vino, le castagne.

    Il tartufo: un delizioso segreto ben custodito
    Questo prezioso fungo sotterraneo è un vero tesoro dell’Umbria e un elemento fondamentale della sua cucina tradizionale. Non tutti sanno che il Cuore Verde d’Italia è uno dei luoghi migliori al mondo per trovarlo. Qui, tra i boschi rigogliosi e le colline ondulate, crescono varietà prelibate di tartufo nero e bianco.

    Il tartufo nero pregiato (Tuber Melanosporum Vittadini) lo si trova soprattutto a Norcia o a Spoleto. La maturazione avviene da novembre fino ai primi giorni di marzo. La sua area di diffusione va dal corso del Nera, del Corno e del Sordo, le montagne spoletine, i Monti Martani, i Monti di Trevi e il Subasio.
    Il tartufo nero umbro è noto per il suo sapore intenso e terroso. È spesso utilizzato in piatti di pasta, come le tagliatelle al tartufo, o grattugiato sopra le uova o il risotto per un tocco lussuoso. Il suo sapore si sposa perfettamente con formaggi stagionati e carne rossa, creando una sinfonia di sapori.

    Il tartufo bianco (Tuber Magnatum Pico), più raro e pregiato. La zona di produzione va dall’Alta Valle del Tevere, all’Eugubino Gualdese fino all’Orvietano. Matura da ottobre a dicembre (salvo alcune zone molto fredde, può spingersi fino a gennaio). Ama il pioppo, il salice, l’albanella ma anche la quercia, il cerro e il carpino.
    Predilige zone boscose, nella vicinanza dei fiumi e i versanti più interni delle colline.
    Ognuno di questi ha le sue caratteristiche distintive e i suoi abbinamenti culinari preferiti.

    Il tartufo bianco con il suo aroma delicato e fragrante, è considerato un vero gioiello culinario. Si abbina magnificamente con piatti semplici come risotto, pasta fresca o carpaccio di carne. Tuttavia, la sua vera bellezza si rivela nei piatti che permettono al suo sapore di brillare, come un uovo al tegamino con tartufo bianco grattugiato.

    I sapori dell’Umbria: abbinamenti perfetti con il vino come un Montefalco Rosso DOC oppure un Grechetto con un passaggio in legno

    Alla scoperta dell’oro verde dell’Umbria: l’olio extravergine d’oliva
    L’Umbria non solo è famosa per i suoi pittoreschi paesaggi e le affascinanti città medievali, ma anche per un tesoro culinario che è essenziale nella cucina italiana: l’olio extravergine d’oliva.

    Grazie ai suoi terreni fertili, al clima favorevole per una maturazione molto lenta e alla dedizione dei suoi agricoltori l’Umbria è rinomata per la produzione di olio extravergine d’oliva di alta qualità, con il suo sapore ricco e fruttato, con note di erbe aromatiche e un leggero pizzico piccante e un tasso di acidità estremamente contenuto. Questo elisir dorato è estratto da olive appena raccolte, spremute a freddo per preservare tutte le sue proprietà benefiche e il gusto autentico.

    Le principali varietà d’olive sono:
    Moraiolo, nella menzione geografica dei Colli Assisi – Spoleto.
    Frantoio, prevalente nei Colli Martani , nei Colli Amerini, e nei Colli del Trasimeno.
    Leccino, presente nei Colli Orvietani.
    San Felice, presente nella sottozona dei Colli Martani.
    Agogia (o Agocia), tipica del lago Trasimeno.
    Pendolino, agente impollinatore del Moraiolo e del Frantoio

    Niente rende omaggio all’olio extravergine d’oliva come una semplice bruschetta umbra. Tosta del pane croccante e sfregaci sopra uno spicchio d’aglio. Aggiungi pomodori a cubetti, basilico fresco, sale e, ovviamente, un generoso filo d’olio extravergine d’oliva umbro. È un piacere per il palato che esalta il sapore del pane croccante e dei pomodori maturi.

    Il nettare umbro: il vino e le sue armoniose sinfonie gastronomiche
    L’Umbria è una regione vinicola straordinaria, nota per i suoi vini ricchi di carattere e personalità. Da Montefalco, Torgiano l’Orvietano, la zona di Assisi etc, i vigneti umbri producono vini rossi corposi come il Sagrantino di Montefalco, vini bianchi eleganti come il Grechetto e il Trebbiano Spoletino e spumanti raffinati come il Metodo Classico e ancora i vini Muffati, un nettare dorato ottimo con abbinamenti di formaggi.
    Questi vini sono il risultato della passione degli enologi locali e delle varietà di uve autoctone, coltivate con cura nelle colline assolate dell’Umbria.

    Gli abbinamenti perfetti:
    Sagrantino di Montefalco con gli arrosti di carne, il Grechetto con piatti di pesce, lo Spumante umbro abbinato agli antipasti e il Vin Santo con i dolci tradizionali come il Panpepato o i Torcetti.

    Sapore d’autunno attraverso le Castagne
    L’autunno novembrino in Umbria è sinonimo di castagne, un frutto versatile che viene utilizzato in molteplici modi nella cucina locale. Dalle caldarroste tradizionali alle zuppe rustiche, dalle torte dolci alle creme vellutate, le castagne sono un elemento imprescindibile del patrimonio gastronomico umbro. La raccolta delle castagne coinvolge le comunità locali, creando un’atmosfera di calore e condivisione che permea l’intera regione.

    Gli abbinamenti perfetti:
    Zuppe di castagne fumanti e funghi Porcini, un goloso Risotto alle castagne e Pecorino Umbro o i dolci alle castagne con il Vino Passito.

    L’Umbria è una destinazione da sogno per gli amanti dell’enogastronomia, con la sua cucina deliziosa, i suoi paesaggi incantevoli e il suo patrimonio culinario unico, questa regione vi regalerà un’esperienza indimenticabile. Buon viaggio e buon appetito!

    Cosa fare in Umbria a Novembre 2024? Te lo dice UmbriaSì

    Novembre in Umbria: Il Mese del Gusto! I nostri suggerimenti per una Vacanza Autunnale

    Novembre è il mese perfetto per visitare l’Umbria se sei un amante della buona cucina, della natura e delle tradizioni autentiche. Conosciuta come il cuore verde d’Italia, la regione in autunno si trasforma in un paradiso per i sensi, soprattutto per gli appassionati di gastronomia. Novembre è, infatti, il Mese del Gusto in Umbria, un periodo in cui sapori intensi, prodotti pregiati e tradizioni locali si fondono in un’esperienza indimenticabile.

    Ecco i tre migliori motivi per organizzare una vacanza in Umbria a novembre.

    Frantoi Aperti: Scopri il segreto dell’olio extravergine d’oliva

    Novembre in Umbria è sinonimo di Frantoi Aperti, l’evento dedicato all’olio extravergine di oliva appena spremuto. Durante tutto il mese, puoi visitare i frantoi tradizionali, assistere al processo di estrazione dell’olio e assaporarlo fresco su una fetta di pane abbrustolito, la classica bruschetta.

    I borghi come Trevi, Spello e Bevagna organizzano degustazioni, visite guidate e attività legate a questa antica tradizione. Questo è il momento ideale per scoprire uno dei prodotti più apprezzati della regione e conoscere da vicino le tecniche di lavorazione tramandate di generazione in generazione. In più, l’olio extravergine umbro è un regalo perfetto da portare a casa, un sapore autentico che racchiude l’essenza della terra umbra.

    Borghi Medievali e Atmosfera Autunnale: Tranquillità e Tradizione

    Novembre è il mese in cui i borghi medievali umbri mostrano il loro lato più intimo e affascinante. Con meno turisti e un’atmosfera rilassata, puoi esplorare luoghi come Gubbio, Spoleto e Montefalco godendo della loro bellezza in tutta tranquillità.

    Camminare tra i vicoli acciottolati di questi borghi in autunno è un’esperienza speciale: i colori caldi delle foglie, le luci soffuse e l’aria fresca creano un’atmosfera unica. Questo è il periodo perfetto per rallentare e immergersi nella cultura locale, visitare antiche chiese, scoprire botteghe di artigiani e fermarsi in un’osteria a gustare piatti tipici della stagione.

    Inoltre, molte località iniziano a prepararsi per il Natale con mercatini e piccoli eventi che arricchiscono l’esperienza autunnale, offrendoti un assaggio dell’Umbria più autentica e accogliente.

    Tartufi e Vino Novello: Prelibatezze d’Autunno

    Novembre è il mese dei sapori autentici in Umbria, in particolare del tartufo bianco e del vino novello. La regione è famosa per i suoi tartufi, e in questo periodo si celebrano numerose sagre e mostre dedicate a questo prezioso fungo. Allo stesso tempo, novembre è anche il mese del vino novello, un vino giovane e fruttato che si sposa perfettamente con i piatti tipici della stagione. Le cantine umbre aprono le loro porte per offrirti degustazioni e momenti conviviali, dove potrai scoprire i segreti della produzione vinicola e brindare ai sapori dell’autunno.

    Un focus su Dante e l’Olio umbro

    Dedichiamo uno spazio a Dante e all’Olio umbro attraverso il libro “Conversazioni dantesche. Olio dell’Umbria: cosa resta del Medioevo dantesco nell’Umbria enogastronomica” scritto e curato da Diego Diomedi, formatore e docente nel settore enogastronomico ed altri scrittori e giornalisti che hanno partecipato alla stesura del testo.

    In particolare l’autore, Diego Diomedi, sottolinea come il suo interesse e la sua passione per l’enogastronomia nascano da una profonda curiosità sulle origini e le tradizioni agroalimentari italiane, con particolare riferimento al Medioevo e soprattutto all’approccio Dantesco alla cucina italiana con un focus sull’olivo e sull’olio umbro. 

    il libro nasce dall’esigenza, a partire dalla rievocazione storica di San Gemini, di dedicare questa grande festa che dura 2 settimane al Sommo Poeta. Nel testo vengono trattate diverse tematiche”- ci racconta Diego

    DANTE E L’ULIVO
    L’olio e dunque l’olivo è profondamente radicato nella nostra tradizione e nella nostra cultura.Trova origini nell’età classica e utilizzi già in epoca romana e poi medievale. All’interno della Divina Commedia i riferimenti al cibo o tutto ciò che riguarda l’alimentazione viene trattato non dal punto di vista materiale e dunque nutritivo ma puramente spirituale e religioso.
    Durante la scrittura della Divina Commedia Dante Alighieri dà molta importanza alla pianta dell’olivo citandola ben due volte come elemento ricco di simbolismo religioso: la stessa Beatrice si presenta a Dante con la corona di ulivo: «sovra candido vel cinta d’ulivo/donna m’appar- ve sotto verde manto» (vv. 31-32, XXX canto del Purgatorio)

    Il fil rouge di questo libro è quello di parlare di Dante attraverso l’enogastronomia immersa nel centro Italia con il collegamento all’ Umbria che fa da ponte, come un flusso di pensiero, di radici e tradizioni.

    NEL DOPOGUERRA
    “L’olio è radicato nella nostra cultura ma è anche un prodotto riservato a pochi fino alla seconda guerra mondiale. Borghese, infatti, l’invenzione di possedere un uliveto in quanto alla classe povera era riservato lo strutto e il burro. È solo nel secondo dopoguerra che il consumo di olio conosce modificazioni. Questa impennata dei consumi per l’Umbria non significò una trasformazione repentina dei caratteri del mercato. Tuttavia il prodotto comincia ad avere spazi più ampi favoriti anche dalle maggiori produzioni realizzate nei decenni precedenti.”- spiega il Prof. Renato Covino, aggiungendo poi che “la natura pedologica dei terreni collinari umbri, spesso fliscioidi (ad alto contenuto di calcare) porta alla diffusione fino a tempi recenti del Moraiolo, che produce pochi chili per pianta e quindi meno olio, e a una collocazione geografica soprattutto intorno al bacino del Trasimeno, che garantiva un effetto di temperazione del clima, e lungo le colline che cingono la Valle Umbra (da Assisi a Spoleto). La presenza nelle colture promiscue, dove affianca o sostituisce la vite e convive con i cereali, ne fa una produzione destinata a un uso sostanzialmente domestico, che diviene parte dell’economia di sussistenza dei mezzadri e di e di consumo dei padroni della terra”.

    L’UMBRIA CUORE VERDE D’ITALIA
    Ivo Picchiarelli sottolinea come “nella percezione dell’immaginario dell’Umbria è balzato di recente in evidenza il grigio-verde degli ulivi, in particolare quello della fascia olivata pedemontana che, ininterrotto, da Assisi a Spoleto si affaccia sulla Valle Spoletana. A ciò hanno contribuito vari fattori. Anche la Regione della verde Umbria sembra aver eletto questo colore a proprio emblema”.

    L’OLIO E MODERNITA’
    Alessandro Giotti parla del rapporto tra modernità, tradizione e innovazione anche nel campo dell’olivicoltura e di come l’avanzare della tecnologia abbia effettivamente cambiato anche i metodi di produzione di “oliveti storici e varietà antiche” e la concetto di olio in termini di consumo e utilizzo in ambito culinario e non solo, e in particolare spiega che “oggigiorno la tecnologia consente di avere frantoi a due fasi tecnologicamente molto avanzati e di piccole omedie dimensioni in grado di produrre altissima qualità. Si stanno diffondendo pertanto molti frantoi che nascono spesso nel cuore del luogo di produzione delle olive rendendo il processo di trasformazione molto efficiente e veloce. Questi frantoi, avendo dimensioni più ridotte, consentono inoltre di gestire anche partite più piccole facilitando, per esempio, lavorazioni di precisione, essenziali per la produzione dei monovarietali. Questi ultimi cominciano a diventare sempre più diffusi consentono di offrire a chi è o sarà in grado di apprezzare l’incredibile biodiversità che possediamo.Basti pensare nella nostra Umbria alla Nostrale di Rigali, alla Borgiona, alla Dolce Agogia al Raio, per non parlare poi del principe di tutte le cultivar umbre e toscane, il Moraiolo.
    La volontà è di dare nuova vita a luoghi incantevoli dell’Umbria valorizzando territorio e qualità produttiva e diventando vera meta per chi è alla ricerca di esperienze e prodotti di qualità”.

    Fiera dei Morti Perugia

    Fiera dei Morti in Umbria: un affascinante viaggio tra tradizione e cultura

    Se siete alla ricerca di un’esperienza unica in Umbria, non cercate oltre. Ogni anno, tra la fine ottobre e i primi di novembre, la regione si risveglia con una festa unica nel suo genere: la Fiera dei Morti, la fiera più grande del Centro Italia.

    Un’Antica Celebrazione Umbra
    La Fiera dei Morti, prima conosciuta come Fiera di Ognissanti,  ha radici profonde nella tradizione umbra risalenti all’epoca medievale, a partire già dal 1260, come vero e proprio momento di scambio e commercio di prodotti di natura agricola, artigianale e ancora capi di bestiame, in preparazione della stagione invernale.

    Oggi, la Fiera dei Morti è un vibrante mix di cultura, storia e festeggiamenti non solo umbri ma provenienti da tutto il mondo.

    Uno dei punti focali della Fiera dei Morti è il mercato che si snoda nel centro storico di Perugia, lungo il Corso Vannucci e nel grande mercato di Pian di Massiano (facilmente raggiungibile tramite il Minimetrò) dove i venditori locali presentano una vasta gamma di prodotti artigianali e non, con la presenza del famoso Luna Park i “Baracconi” che quest’anno festeggia i suoi 100 anni.

    Potrete trovare oggetti di ceramica, tessuti, gioielli e prelibatezze culinarie tradizionali dell’enogastronomia locale come la porchetta, i salumi locali e le zuppe ricche di sapore per non parlare poi del Tartufo umbro una prelibatezza autunnale che raggiunge il massimo della bontà in questo periodo dell’anno, ed ancora enogastronomia estera delle città gemellate con Perugia.

    I colori vivaci dei prodotti e l’abilità artigianale dei venditori creano un’atmosfera magica che vi farà sentire come se foste immersi in un racconto di fiabe umbro.

    La Fiera dei Morti in Umbria è un’occasione unica per immergersi nell’anima dell’Umbria, scoprendo la sua storia, la sua cucina e la sua gente. Se cercate un’esperienza autentica e memorabile in Italia, non dovete cercare oltre: la Fiera dei Morti vi aspetta a braccia aperte nelle pittoresche città umbre.

    La storia di Eurochocolate

    Eurochocolate: la dolce storia della festa del cioccolato

    Il cioccolato, con la sua irresistibile dolcezza, ha sempre avuto il potere di catturare i cuori di milioni di persone in tutto il mondo. Ma c’è un luogo in Umbria e più precisamente a Perugia dove il cioccolato diventa protagonista assoluto, un evento che celebra questa prelibatezza culinaria in tutte le sue forme e sfumature: Eurochocolate, uno dei festival del cioccolato più famosi e amati al mondo.

    Tutto ebbe inizio nel 1993, quando un giovane imprenditore italiano di nome Eugenio Guarducci, di ritorno dall’Oktoberfest di Monaco di Baviera, ebbe l’idea e il desiderio di creare un festival del cioccolato che celebrasse il meglio di questa prelibatezza e portarlo nella sua Perugia. Con grande passione e determinazione, Guarducci mise in piedi la prima edizione di Eurochocolate a Perugia, la pittoresca città nel cuore verde dell’Italia.

    Perugia, con la sua ricca tradizione cioccolatiera risalente a Luisa Spagnoli, si rivelò il luogo ideale per ospitare un evento di questo genere. Il festival ebbe un inizio modesto, ma la sua reputazione crebbe rapidamente, attirando appassionati di cioccolato da tutto il mondo.

    Negli anni successivi, Eurochocolate ha conosciuto una crescita costante, diventando uno dei festival del cioccolato più importanti a livello globale. 

    Oltre a deliziare il palato dei visitatori, Eurochocolate ha un obiettivo educativo. Il festival promuove la conoscenza del cioccolato, dalla sua storia millenaria alle moderne tecniche di produzione con laboratori, seminari, degustazioni di cioccolato o abbinamenti ai vini e liquori in cui esperti cioccolatieri spiegavano le sfumature della produzione di cioccolato e svelavano i segreti dei gusti unici dei vari tipi di cacao e ancora cooking show con dimostrazioni di Chef e Maestri cioccolatieri di fama mondiale.

    Eurochocolate è una vera e propria esperienza culturale, un viaggio attraverso il mondo del cioccolato, dalla sua storia alle sue sfumature più moderne. Questo festival ha saputo conquistare i cuori di appassionati di cioccolato di tutte le età e nazionalità, dimostrando quanto possa essere potente il legame tra il cacao e l’umanità.

    Se amate il cioccolato, non c’è posto migliore in Europa per soddisfare la vostra passione di Eurochocolate. E, chissà, potreste persino scoprire nuovi lati di questa delizia che non avete mai immaginato.

    Lezioni di Cioccolato: quando il cioccolato incontra il vino

    Perugia e Perugina

    Dalla lungimiranza, dalla sagacia, dalla visione e dalle idee rivoluzionarie e moderne di Luisa Spagnoli nacque la Perugina nel 1907 da un piccolo laboratorio nel Centro di Perugia rilevando insieme al marito Annibale Spagnoli una drogheria e dando l’inizio ad una nuova idea di intendere e trasformare il cacao e il cioccolato: a Perugia, ricca di piccole botteghe, si diffusero attività industriali che ampliarono il mercato del cioccolato e soprattutto la fama di Perugia. 

    La celebre creazione a base di granella di nocciola, gianduia e copertura di cioccolata fondente, grande intuizione di Luisa Spagnoli oltre un secolo fa e ancora oggi cavallo di battaglia di Casa Perugina, in origine aveva la forma e il nome di un pugno o meglio di un “cazzotto”. Un nome che fu poi cambiato da Giovanni Buitoni nel 1924 nel famoso Bacio Perugina”.

    Le origini

    La coltivazione, la diffusione, la commercializzazione e di conseguenza l’uso caleidoscopico del cioccolato o del cacao è relativamente recente.

    Siamo tra il XVI e il V secolo a.C, nella penisola dello Yucatan, quando le scimmie cominciarono a nutrirsi del frutto del cacao, la cabossa, mangiando la polpa e gettando via i semini (quelli che oggi sono conosciute come fave di cacao) e contribuendo alla diffusione delle piante di cacao. Ed è proprio imitando le scimmie che i Maya si avvicinarono al “frutto degli dei” a partire dal V secolo a.C e diffondendo la coltivazione.

    Si narra che tutta la popolazione masomaericana considerasse il cacao un dono divino: legato pertanto a celebrazioni importanti e riti sacri. Cionondimeno, i Maya ne avevano carpito le proprietà nutritive e le potenzialità racchiuse nel frutto: si credeva, infatti, che il cacao fosse un ricostituente sessuale e pertanto veniva donato alla sposa durante il rituale del matrimonio.
    Frutto divino, pietanza per i rituali e ancora moneta di scambio, il cacao diviene per la popolazione Maya parte integrante della quotidianità.

    La lavorazione moderna del cacao per ottenere il cioccolato è in realtà risalente ai Maya, con piccole modifiche, tagli diversi, tecniche nuove ma in sostanza sono stati i Maya ad insegnarci come trasformare dei semi avvolti da un sostanza bianca e filamentosa nel cioccolato moderno: il frutto (la cabossa) veniva aperta lasciando a fermentare i semi (le fave) al sole; dopo seguiva la tostatura e la macinatura con un matterello che rompeva la fava facendo fuoriuscire il burro di cacao (la parte grassa del frutto) alle quali venivano aggiunti aromi e farina di mais dando origine alla massa di cacao. Venivano poi conservati per essiccazione in panetti e consumati con l’aggiunta di acqua calda, filtrata e bevuta fredda come bevanda di fine pasto e chiamata dagli Aztechi “tciocoatl”, mentre la pianta di cacao “cacahuatl”.

    Ogni volta dico a me stesso che è l’ultima volta, ma poi sento il profumo della sua cioccolata calda… Le conchiglie di cioccolato! Così piccole, così semplici, così innocenti. Pensai: oh, solo un piccolo assaggio non può far niente di male! Ma poi scoprii che erano ripiene di ricco, peccaminoso…” “…E si scioglie… Dio mi perdoni, si scioglie così lentamente sulla lingua e ti riempie di piacere!…”- dal film Chocolat

    ChocoPills: cioccolato e filosofia
    “Il cioccolato era particolarmente apprezzato dagli illuministi. Voltaire ne consumava numerose tazze al giorno, trovando il cioccolato molto utile alla speculazione filosofica: a differenza dell’alcol che annebbiava le capacità cognitive, il cioccolato le sollecita”- Luca Fiorucci, giornalista

    Ma noi non ascoltiamo Voltaire e consigliamo il cioccolato con il vino!

    Con il cioccolato abbiamo sensazioni organolettiche come la succulenza (salivazione all’assaggio), la tendenza amarognola (legata alla % di cacao del cioccolato che ricordiamo avere i tannini come il vino), la grassezza (legata al burro di cacao e al latte), la struttura, l’aromaticità, l’intensità, la dolcezza e la persistenza. A seconda delle proprietà organolettiche del cioccolato, potremo abbinare il vino che meglio si sposa e si abbina. Per la succulenza, per esempio, cercheremo un vino con alcol e tannini. Per la tendenza amarognola, alcol e morbidezza. Per la grassezza un vino sapido.

    Mostaccioli

    Nel mese di settembre, tipicamente conosciuto per la raccolta dell’uva e della vendemmia, troviamo un famoso dolce tradizionale dell‘Umbria: i mostaccioli

    Secondo la tradizione i mostaccioli erano il dolce preferito di San Francesco che assaggiò questi biscotti “boni e profumosi”, come diceva il santo, durante il suo primo soggiorno romano.

    Ad offrire quello che sarebbe diventato il suo perenne “peccato di gola” fu Jacopa de’ Settesoli, nobildonna romana, che divenne una collaboratrice del neonato movimento francescano e una cara amica di San Francesco tanto da chiamarla affettuosamente Frata Jacopa. Si racconta che tali dolci piacevano talmente tanto a san Francesco da desiderarli anche in punto di morte!

    Ingredienti
    Farina 600 g
    Zucchero 200 g
    Uvetta 50 g
    Lievito di birra 50 g
    Mosto 300 ml
    Scorza di 1 limone
    Olio extravergine d’oliva 2 cucchiai
    Semi di anice (se graditi)

    Preparazione
    Dopo aver setacciato la farina, sistematela a fontana e aggiungete l’olio, lo zucchero, l’uva sultanina e i semi di anice. Impastate il tutto e, una volta sciolto il lievito di birra nel mosto, aggiungetelo al composto, continuando a impastare fino ad ottenere un impasto facilmente staccabile dal piano di lavoro.

    A questo punto allungate l’impasto con le mani ottenendo un cilindro, tagliatelo in pezzetti e date ai vostri mostaccioli l’aspetto che preferite: a rombo o a forma di una piccola ciambella. Poi disponeteli sulla teglia con la carta da forno. Infornateli a 180 gradi e lasciateli cuocere per circa 30 minuti. Una volta pronti, spolverateci un po’ di zucchero a velo.

    Curiosità
    Il mosto cotto era un dolcificante tipico di tutta l’Italia contadina e si otteneva facendo cuocere per molte ore il mosto fresco in recipienti bassi e larghi di rame. Con il passare del tempo questo squisito ingrediente, ma di lunga preparazione, è stato sostituito dallo zucchero.

    Il mosto cotto si produce pigiando uva ben matura, avente qualità zuccherina superiore a quella richiesta per la produzione del vino (23-25% di zuccheri), filtrandone successivamente il succo ottenuto. Dopo di ciò, il succo viene cotto in recipienti tradizionalmente di rame o terracotta, ma oggi sostituiti dall’acciaio inox. Una volta fatto bollire, si continua a cuocere a fuoco lento per varie ore, fino a che il liquido si restringe di un quarto rispetto al volume iniziale. In molte regioni del sud sono famosi i “mostaccioli”, dolci a base del mosto cotto, ma con una forma a rombo che li differenzia dalla nostra tradizione.

    Copyright foto La gazzetta del gusto
    Umbriatourism

    Foliage in Umbria

    Il Cuore Verde d’Italia in autunno si scalda di colori: l’Umbria da settembre si accende di rosso, giallo e arancione!

    La natura dopo la calura estiva soffia tra i suoi colori più belli e abbandonando temporaneamente il verde si colora prima dell’arrivo dell’inverno. L’autunno in Umbria è fatto dell’odore delle foglie, della legna che brucia nei primi caminetti che si accedono.

    E’ stagione di vendemmia e di molitura delle olive, quindi di ribollire dei mosti e dei frantoi dove assaggiare la bruschetta con l’olio nuovo.

    Non perdere una passeggiata in bicicletta lungo la Strada del Sagrantino, dai vitigni color porpora, o una passeggiata nei boschi, come al Bosco di San Francesco in Assisi, dove ammirare il foliage autunnale, o vai con i bambini a raccogliere i ricci delle castagne nella zona di Città di Castello.

    Il Pozzo di San Patrizio: un’opera idraulica pionieristica

    Correva l’anno 1527 quando all’architetto fiorentino Antonio da Sangallo il Giovane fu commissionata la costruzione di un Pozzo nel cuore della città di Orvieto, un’opera che si sarebbe rivelata poi una vera e propria impresa pioneristica e all’avanguardia.
    A ordinare l’incarico fu l’allora Pontefice Clemente VII, durante il Sacco di Roma, che desiderava dare alla città che gli dava rifugio (dopo esservi arrivato travestito da ortolano), un approvvigionamento di acqua sempre disponibile, soprattutto durante i periodi difficili come assedi (o carestie). Fu anche coniata successivamente una medaglia, oggi conservata nei Musei Vaticani, con inciso “ut populus bibat” – “perché il popolo beva”.

    Inizialmente il Papa aveva immaginato il Pozzo ad uso della rocca fortificata della Fortezza dell’Albornoz (da qui il nome “Pozzo della Rocca”). Dobbiamo attendere l’800 per l’attuale nome Pozzo di San Patrizio.

    Avanguardia Rinascimentale
    L’architetto Sangallo progettò il Pozzo a forma cilindrica, profondo 58 metri, partendo e prendendo ispirazione dalla scala a chioccola della Villa del Belvedere in Vaticano con un design elicoidale di scalini (ben 248) progettati in modo che non si creassero ingorghi di persone, e infatti chi scendeva e chi saliva, aveva la propria “via” libera, soprattutto chi vi si recava con i muli.
    72 sono le finestre che illuminano il pozzo fino a raggiungere la penombra in profondità, dove vi si trova un piccolo ponte a collegare le due scalinate.
    Il Pozzo, completato nel 1537, fu costruito scavando nel tufo (Orvieto è famosa proprio per i suoi terreni tufacei e le gallerie di tufo dove oggi si conservano e affinano molti vini famosi Orvietani) e poi nell’argilla sino ad arrivare alla falda acquifera di origine naturale.
    All’ingresso vi si legge “quod natura munimento inviderat industria adiecit – ciò che non aveva dato la natura, procurò l’industria”, una chiara celebrazione dell’ingegno umano al servizio della natura.

    Il Pozzo e l’Irlanda
    Come accennato, il nome Pozzo di San Patrizio, arrivo nell’800 per volere dei frati del Convento dei Servi che erano a conoscenza della leggenda del “santo irlandese”, San Patrizio custode di una grotta così profonda da non avere un fondo tanto da essere riconosciuto come Purgatorio di San Patrizio (ed una volta raggiunto il fondo superando delle “prove” si potesse accedere poi al Paradiso) e che il pozzo fosse persino collegato all’Irlanda, dove il Santo fece opera di evangelizzazione, e spesso trovava nel Pozzo un momento di riflessione e di preghiera. Fu così che il Pozzo divenne una meta sacra più che militare. Oggi meta turistica e culturale di grande impatto ed emozionalità.

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